Tatiana Defraine
FAME IS A BEE
9 Giugno – 15 Settembre 2021
“In una scatola d'intarsio sulla sua scrivania, Emily (Dickinson) conserva i suoi denti d'infanzia, venti perline barocche. Alcune notti pensa che la zitella a cui appartenevano tornerà a prenderli, un fantasma senza denti”
Dominique Fortier
“La storia delle donne è come quella della stregoneria: una storia dal basso”
Carlo Ginzburg
Nella società dell’iper-spettacolo, l’inflazione di immagini, la rappresentazione commercializzata di corpi e molteplici immaginari sovraccaricano di rappresentazioni la realtà. In questa sovraesposizione, le piccole tele di Tatiana Defraine, dai colori pastello e dal gesso che cola ai bordi del quadro, sedano lo sguardo affaticato. Dialogano con le intemperie dell’immagine femminile, della sua volgarizzazione come della sua naturalizzazione. Sono ironiche diapositive della pittura che ci interrogano sull’ambiguità e le contraddizioni di vedere oltre l’ordinario. La provocazione è disincantata. Quali sortilegi e superstizioni del progresso esprimono queste immagini? I volti e i corpi dipinti da Defraine non hanno bisogno di essere visti, di dare spettacolo. Hanno bisogno di guardarsi. Egoiste e generose. Sono ritratti di jeunes filles (1) e mauvaises herbes (2) . In loro, il rapporto con il mondo accade. Il mondo, meschino e apparente; e loro, sinuose e ambigue. Il repressivo si trasforma in sovversivo e il sovversivo accumula in capitale. In questo modo, appare impercettibile distinguere tra intimo e pubblico. Oggi e per masse, questi piccoli formati sono selfies sullo schermo, un tempo e per pochi ranghi privilegiati (3), tavolette per passaggi di morte. La fama è a tratti - come un mormorio. Sussurro di storie che possono accadere. Satura di innata riappropriazione, un’ape raccoglie la carriera dei fiori. Piccoli versi: creazione, frammentazione. Sono immagini create con pastelli ad olio, immagini dalla consistenza tecnica spessa e grassa. Sono anche esercizi femminili di reclusione, restituiti nei loro dialoghi ai fiori, a una meraviglia sonnambula, disturbata dal ronzio della fama. Natura morta o ritratto umano? Coincidono, per caso, nella freschezza di offrirsi come accessori, come corpi, come realtà- lei era morta. Dipinte come guarigione alla fine, nelle loro stanze, eppure invisibili. Sono solo corpi: restituirne la pelle; la materia della pittura è densa come il trucco usato prima di uscire e di andare fuori casa. Ma dentro le loro dimore, non ne hanno bisogno. Lì, questi corpi giocano senza maquillage. Apostrofi muti, gesti di naturali poseurs. Fumare, danzare, guardare, posare. Coltivano narcisi e contemplano miti di visualizzazione. Oh benevolenza, tocca-mi. Tenerezza sorridente, decorata da margherite tra i capelli, perfino sotto le ascelle. Daisies are not wise: il titolo di alcuni tra questi quadri. Chloris: ritraggono ninfe dai visi ricoperti di maschere d’argilla verde o da rinfrescanti cetrioli sugli occhi. Emanano un erotismo fertile e giovane, misto ad empatica pigrizia. È così che senza salvare il mondo, “la magia si annida” (4). Ciascuno esibisce sé stesso, mostra sé stesso, segue il corso di un’autenticità moderna - distesi in modo bellissimo, tra i colori del silenzio - sentimento di esistere, seduzione sorniona che traspare, macchina della visione, pittura grassa. Sono ritratti ironici, in formato cartolina, di un’emancipazione femminile anonima, virale, esteriore: “Moi, j’ai envie que les gens soient beaux” (5).
Sonia D’Alto
(1) Cfr. Tiqqun, Premiers Matériaux de la Theorie de la Jeune Fille, Mille et une Nuit, Paris, 2001
(2) In italiano: le piante infestanti, per es. le graminacee.
(3) Vedi i “Ritratti del Fayum".
(4) Emily Dickinson: “Magic lurks”.
(5) Tiqqun, Ibidem, p. 20