Andrea Bolognino
I GIGANTI
19 Maggio – 20 Giugno 2022
La storia narrata è più spesso pretesto, qualcosa che viene prima di ciò che è scritto. È la realtà che chiede di essere trasfigurata in letteratura per dichiarare verità altrimenti indicibili e, talvolta, assumere valore apotropaico. La dimensione della letteratura è il tempo, in essa si dipana il suo potere, per chi ha la pazienza di porsi in ascolto. Per un bias cognitivo per il quale provo una sottile repulsione, avrei voluto fagocitare con una sola occhiata l'intero libro I Giganti di Alfred Döblin – quella storia narrata, che è pre-testo, appunto - dal quale deriva il titolo della mostra di Andrea Bolognino. Nella rocambolesca comprensione del mondo alla quale siamo obbligati, un tortuoso percorso tra migliaia di input che i nostri sensi supportano a stento, stupisce non poter assumere una qualsiasi informazione con un solo colpo d'occhio. Per spiegare meglio questa sensazione di carenza nell’abilità conoscitiva - diminutio che però ci qualifica in quanto esseri umani e, in quanto tali, vincolati alla materialità dei nostri corpi e alla conseguente finitezza delle potenzialità intellettive - useremo come esempio una tecnologia alla quale siamo ormai più che abituati: il QR code. Un codice visivo che rimanda a una pagina web, sancisce una verità inoppugnabile e ottusa, esplicita il nostro status, mostra il menù dell’ennesimo lounge bar e collega dispositivi e account diversi. Possiamo anche pagare la bolletta del gas. Quanto più pervasivo, e vagamente obsoleto, è l’uso del QR code, tanto più appare stupefacente ci siano ancora oggetti e informazioni misteriose che non intendono rivelarsi attraverso esso, se non grazie a ore di raccoglimento e dedizione. Il libro, e quindi la letteratura, resta infatti il baluardo di un'antichità recente, reduce di una modalità di appropriazione del sapere che per secoli ha rappresentato l'unica fonte di approvvigionamento di informazioni. Mentre le due velocità e dimensioni della conoscenza ancora coesistono, il desiderio di impadronirmi all'istante del contenuto del romanzo di Döblin, balenato nell’attimo in cui ho aperto il link della copertina del libro inviatomi da Andrea Bolognino, ha innescato una serie di divagazioni su prospettive di sviluppo, più o meno plausibili, della tecnologia e, con questa, delle possibilità dell’essere umano. È forse così che nascono i libri di fantascienza. Siamo solo al titolo e già sono presenti tutti gli elementi che ci consentono di scardinare quella materia sottilissima che occlude la superficie porosa, modellata da Andrea Bolognino con punte aguzze, pastiche di tecniche e materiali, finanche innesti metallici. Sono le cose che capitano da un lembo all’altro del foglio e assumono misteriosamente l’aspetto di una distopia, una escursione solitaria nell’aberrazione e, insieme, nel tripudio delle possibilità del corpo. Questo accade sulla carta, tanto per Alfred Döblin, romanziere espressionista, quanto per Bolognino, disegnatore contemporaneo e perciò sperimentatore del suo tempo. Dove il primo pretende ore di dedita lettura, il secondo soddisfa quel rapido sguardo divoratore, di cui sopra. Eppure, l’opera di Bolognino esige, occhiata dopo occhiata, di essere saggiata con cura, per scoprire tutti i passaggi labirintici sottesi alle macchie magmatiche in primo piano, quasi corrispondenti ai grandi moti che animano ininterrottamente il romanzo di Döblin: le rivolte di uomini contro gli Stati, di uomini contro altri uomini, degli umani contro le macchine, della titanica potenza della natura che si infrange contro il desiderio umano-troppo-umano. Siamo in piena Noösphera, un umanesimo post-umano: l’uomo resta al centro di questo discorso futuristico nel quale il romanziere tedesco ha fatto confluire quella proliferazione immaginativa emersa tra le due Guerre, puntellata di complottismo, parapsicologia e teorie parascientifiche come la Welteislehre, orrore e meraviglia del XX secolo. Al lato opposto, sottotraccia, serpeggiano altri scenari descritti minuziosamente da Bolognino. Torna il tema del corpo ibridato e assurto a territorio di indagine speculativa, muscoli che si sviluppano da una sbarra di metallo e mutano in petali di fiore, membra indistinte dalle quali è generata nuova vita, ma anche esseri antropomeccanici. E poi una schiena maschile appena accennata da una linea sinuosa, oso chiamarlo “nudo”, ignorando volutamente quella matassa oscura annidata nel plesso solare. Altre figure del tutto astratte pure restituiscono la forza dirompente dell’aspirazione a valicare i limiti del conosciuto e superare le anguste possibilità della realtà fisica. È il mito di Icaro, mi ricorda Andrea Bolognino. È il grande romanzo dell’umanità, sussurra Döblin.
Luciana Berti
allestimento a cura di Giuliano Ciao; la mostra è accompaganta dalle composizioni audio di Valerio Middione: 'fighting somewhere in the past' e Giulio Nocera: 'cospirazione'.