Michele Cesaratto
PINGENDO
24 Novembre 2023 – 15 Gennaio 2024
Per parlare del lavoro di Michele Cesaratto è fondamentale prendere in considerazione le due città in cui ha studiato: Firenze e Venezia. Città, indissolubilmente legate al suo lavoro, che rappresentano due momenti significativi dell'arte italiana: il Trecento e il Quattrocento. La pittura sviluppatasi tra questi due periodi e luoghi ha un'influenza molto significativa sul lavoro di Michele. Influenza che non riguarda solo aspetti formali e tecnici dell'immagine, ma si estende all'approccio alla pittura che Michele condivide con alcuni artisti di quei tempi. Passando da Fra Angelico a Pollaiolo, da Pisanello a Gentile da Fabriano e considerando anche in generale i cosiddetti “primitivi”, emergono chiare e a volte evidenti caratteristiche comuni. Nonostante, infatti, l'eleganza e la raffinatezza delle loro opere, spesso a sfondo sacro, emerge sempre una dimensione ingenua nella pittura (ingenuo in-genui, generato da sè perciò puro). Questa ingenuità si riflette specialmente nei dettagli e nelle invenzioni delicate e semplici nonché nell’attenzione totalmente nuova e personale verso la natura e i suoi fenomeni: si pensi al corpus di disegni di Pisanello - in gran parte composto da studi sugli animali - o alla sostituzione del fondo oro con il paesaggio dei pittori citati, in cui l’elemento simbolico cristiano è eluso a favore dell’attenzione al paesaggio. Nella pittura di Michele Cesaratto, che attinge molto dalla natura e da tutto ciò che lo circonda, si ritrova questa stessa ingenuità antica, a volte caratterizzata da sfumature ironiche, quasi buffe. L’attenzione al paesaggio è ripresa, inoltre, dall’arte e dalla cultura cinese, da sempre motivo di costante interesse e ricerca per Michele. La pittura cinese è quella che forse ha dato più importanza al paesaggio, ponendo il pittore di paesaggio sullo stesso piano del poeta ispirato, sino a trasformarsi in un esercizio spirituale: i dipinti su rotoli di seta venivano, infatti, racchiusi in scrigni preziosi e scoperti solo in situazioni intime, nello stesso modo in cui si poteva contemplare un oggetto sacro o leggere una poesia. Così, i lavori di Michele risultano come connubio tra questi due mondi - la pittura italiana antica e la pittura cinese - e pertanto chiedono un raccoglimento dinanzi agli stessi, come se si trattasse di un dittico da preghiera del trecento italiano o un rotolo di seta dipinto in Cina..
Associare questi due elementi non è comunque impossibile: Mario Bussagli offre questa ipotesi singolare a riguardo: “Già Bernard Berenson rilevava che la spiritualità della pittura cinese raramente trova corrispondenza in Italia, ma, se la trova, questo avviene nella pittura senese del ‘300 e dei primi del ’400, per l’emotività e per lo slancio mistico delle genti di Siena. Ma se Berenson voleva stabilire una affinità spirituale senza implicare rapporti storici, si ricordi che non è affatto impossibile che pitture di epoca Sung o del primissimo periodo Yuan abbiano suggerito a Simone Martini non solo le caratteristiche dimensioni del suo grande affresco rappresentante Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi, ma fors’anche la stessa trattazione del paesaggio, degli steccati, delle insegne (..) A parte il diversissimo spirito che anima le opere di Simone, netta espressione di una sensibilità medioevale italiana, le dimensioni corrispondono a quelle di una pittura a rotolo orizzontale (l’altezza è un terzo della larghezza) mentre le corrispondenze dei particolari con soluzioni analoghe usate dagli artisti cinesi sono tali da far pensare ad un’imitazione” (1)
Leonardo Devito
(1) La pittura cinese, Mario Bussagli, Fratelli Fabbri editori p.14, Milano 1966