Claudio Coltorti
DIALOGO
25 Febbraio – 8 Maggio 2022
Oggi sono andato a rivedere i famosi coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck, 82 X 59,5 cm, olio su tela, alla London Gallery anche se a Londra non ci sono mai stato mi sono avvicinato sempre più al quadro per ricavarne una descrizione, discreta l'economia dello sguardo (fare del pensiero un'esattezza della visione), ma non ho potuto non considerare anche questo avvicinarsi come la descrizione di qualcosa: più mi sforzavo di descrivere l'opera più vedevo la mia stessa visione che si vedeva, la descrizione che diveniva il luogo di una distanza, un'impotenza semica che considera infinitamente le sue possibilità: la descrizione, momento per momento, come la testimonianza di una sparizione originaria. Anche il quadro per contro, mi sono detto, è una descrizione o meglio una teoria delle descrizioni possibili perché ciò che rappresenta (la moglie vestita di seta verde, o forse è moffola, l'oscuro barboncino, lo sguardo osceno e vitreo del marito e la mano che i due si tendono, i piedi nudi, le calzature lasciate sul fondo che ricordano il soccus latino, tutti quegli oggetti che slittavano sulla mia retina e divenivano nella coscienza un indistinto timico, il segnale di un segnale) è in fondo un dato del reale: non sto qui dicendo che Jan Van Eyck sia un pittore mimetico, ma che nell'opera descrive la realtà nel suo darsi all'immaginazione, perché la realtà non è una presenza ma un'immagine che descrivendo si cancella, una diagonale di pulviscolo quando ci si passa attraverso; così che la descrizione, mancando continuamente la realtà, arriva per assurdo a raffigurarla. Ho avuto perciò l'impressione che in quel frangente la realtà (la mia ma anche quella del mondo in cui vivevo e che si irradiava dal salone della London Gallery) fosse in un certo senso ferma al 1434, probabilmente
l'anno in cui messere Arnolfini si fece ritrarre con la moglie dal visionario maestro fiammingo, che cioè l'unica realtà in qualche modo tangibile fosse quella e che tutto ciò che mi era intorno fosse solo un'interminabile astrazione, uno slontanamento appunto dalla stanza in cui il pittore e i coniugi si trovavano 581 anni fa ma in cui si trovano anche ora. Allora il 1434 è la data in cui il tempo si è biforcato (una delle infinite volte) creando a partire dai due sposi in posa un tempo fatto unicamente della loro descrizione: un allontanamento progressivo e metalettico partendo appunto da Van Eyck, genio della distorsione, arrivando fino a me e agli individui che alle mie spalle riproducono in jpeg l'opera del fiammingo, la trasfigurazione mitopoietica di una realtà che sta esistendo ma da cui ci siamo separati e di cui quella trasfigurazione è l'atto costitutivo. Come un dispositivo che produce mondi paralleli l'opera ha costituito un universo fatto solo della sua fruizione, mentre i coniugi Arnolfini sono ancora nella loro stanza, appena mossi dalla fissità della posa, pronti a vivere una vita
che non è ancora accaduta.
Fabrizio Maria Spinelli